Ai figli il cognome della madre. Perchè?

In questi giorni è apparsa sui giornali la notizia di una sentenza della Cassazione «con la quale chiede addirittura al primo presidente della Suprema Corte di poter in un certo qual modo colmare il vuoto normativo e dare la possibilità ai giudici di fare sì che, se i genitori lo vogliono, i figli possano avere il cognome della madre anzichè quello del padre. Diversamente, scrivono i supremi giudici, "se tale soluzione sia ritenuta esorbitante dai limiti dell’attività interpretativa la questione possa essere rimessa nuovamente alla Corte Costituzionale".». (da LaStampa.it) La questione mi ha interessato perchè, nonostante a prima vista possa apparire non essenziale o persino superflua, sembra realmente essere il prodotto di alcune concezioni tipicamente attuali di termini quali "libertà" e "diritto", che oramai veicolano ogni nuova proposta in una determinata direzione e sembrano realmente interiorizzate dalla maggioranza dei cittadini: ho sentito parlare di "diritto negato" e di libertà, su alcuni siti ho letto di un processo di modernizzazione e di progresso. Mi sembra che qui o ci sia forte ignoranza sui termini in questione oppure la nostra società sta divenendo talmente insofferente alla tradizione da andare a colpire con il martello qualsiasi traccia del passato, dimostrandosi, difatto, cieca e davvero poco razionale.

Il termine cognome deriva dal latino cognomen, tuttavia, per semantica, il nostro "cognome" è più vicino al latino nomen, ovvero quel termine che andava ad indicare il ramo della gens cui apparteneva un individuo, il suo legame di sangue con un determinato gruppo di persone. In realtà già l'accezione latina di nomen risulta essere una costruzione ulteriore rispetto alle usanze degli antichi greci, che indicavano spesso esplicitamente il nome del padre o dei propri antenati. Il sistema delle "discendenze" non nascondeva in realtà nessun limite o obbligo, ma era il contesto a partire dal quale un uomo si identificava e veniva identificato dalla propria comunità. Nel trascorrere dei secoli, le idee di un'appartenenza e identità espresse simbolicamente dal cognome hanno avuto sfumature e persino forti fraintendimenti, tra i quali vorrei ricordare il simbolo della "casata" nelle comunità mafiose. Nonostante il richiamo al passato sia stato breve e superficiale, emerge subito come il cognome sia il primo e ineliminabile simbolo dell'identità, della società in cui ognuno è nato e si trova a vivere.

Ben s'intende come una società che vuole fondare lo Stato su una scelta talmente libera che pretende di essere indipendente e autonoma da qualsiasi condizionamento stimi come un limite o un residuo irrazionale tutto ciò che non dipenda dalla nostra libera (anarchica) volontà. Ciò che mi colpisce è l'incapacità attuale di accettare la propria finitezza, quella che i medioevali a ragione chiamavano "dipendenza creaturale". L'uomo attuale non accetta che l'esser situato in una determinata società e contesto non sia una scelta che competa a lui e vuole scegliersi il sangue da cui essere generato e generare (procreazione assistita) e la tradizione nella quale venire inserito (scelta del cognome). Questa i greci la chiamavano Hybris.

Commenti

Maria Devigili ha detto…
Quello che dici in merito alla tendenza a rifuggire il sentirsi situato è quanto mai evidente.
Naturalmente, i casi sono sempre particolari e da comprendere a fondo: ci possono anche essere dei buoni motivi per rifiutare alcune situazioni, serve solo la dota rara dell'equilibrio.
In un senso più universale, la fuga dal limite è sempre una fuga votata all'insuccesso in quanto il limite umano è essenziale e non eliminabile: sappiamo bene che tolti alcuni "ostacoli" o fardelli, se ne creano altri, magari meno evidenti e più striscianti.
In merito alla scelta del cognome, quello che si rifiuta, secondo me, non è tanto il limite perchè comunque sei figlio dei tuoi genitori e c'è poco da fare, un cognome tra i due lo devi pur svegliere (il rifiuto radicale sarebbe scegliere di non avere nessun cognome).
Penso ci sia un rifiuto dell'istituzione della famiglia tradizionale, quello sì, più che altro un rifiuto dato dalla perdita di forza e di senso del concetto stesso di famiglia patriarcale.
Del resto, è lo stesso concetto di Pater Familias che ha perso di significato.
La società non è affatto stabile, oculata o razionale: il tessuto economico influenza quello sociale ed è per questo che la società appare cieca e irrazionale, perchè segue quasi esclusivamente la razionalità economica che corrisponde più o meno a quella di uno stomaco con il cervello.
Oggi, è molto più facile che siano entrambi i coniugi a lavorare e a mantenere i loro figli, e, di fatto, sono entrambi Pater Familias.
Ma accade anche che sia solo la donna ad assumere questo ruolo, ad esempio, quando è da sola provvedere al mantenimeno dei figli.
Personalmente, non trovo nulla di particolarmente progressista o moderno nello scegliere il proprio cognome: nei paesi ispanici, paesi ricchi di storia e di tradizione, si usa sia il cognome della madre che quello del padre.
Non considero l'uso del cognome paterno come un valore in sè ma lo accetto volentieri come parte del mio vivere localizzata in una determinata zona del Pianeta.
roger ha detto…
Per non fare confusione io preferisco lasciare le cose come stanno:cognome del padre. Scegliersi un cognome è solo frutto di fantasiose perdite di tempo soprattutto se penso che i magistrati farebbero bene a dedicare le loro giornate a cose più serie. Il cognome lo acquisisci dalla nascita, così come hai dalla nascita un determinato fisico, un colore dei capelli, un DNA! O ti chiami in un modo o nell'altro, sei sempre la stessa persona con i tuoi pregi e difetti.
Unknown ha detto…
Ringrazio entrambi per i commenti e vedo che sul tema siamo in buon accordo.

Maria sottolinea bene "Penso ci sia un rifiuto dell'istituzione della famiglia tradizionale, quello sì, più che altro un rifiuto dato dalla perdita di forza e di senso del concetto stesso di famiglia patriarcale. [...] il tessuto economico influenza quello sociale ed è per questo che la società appare cieca e irrazionale"
La domanda ora è: ma secondo te questa dinamica è.. come dire... naturale, nel senso che p la naturale conseguenza, logica, della crescita umana oppure è prodotta un dato alieno, malato, quale la mentalità e l'approccio capitalista o altro?

Poi magari ti dico la mia, anche se si sarà intuita ;)
Anonimo ha detto…
Uno dei miei filosofi preferiti dai tempi delle superiori è Nietzsche, proprio per la sua radicale critica alla cultura d'occidente.
A me sembra davvero che più il tempo passi, e più l'uomo voglia progredire in tutto e per tutto, alienando così valori sia naturali che etici.
In occidente dove siamo schiavi del progresso tecnologico e del benessere economico, è in atto un vero e proprio declino della "forza spirituale".
Spinta da queste idee, ho deciso di avvicinarmi al mondo musulmano, alla lingua araba, all'oriente insomma...
In una società come quella arabofona musulmana, si è protesi ad uno stile di vita molto più semplice; vi è un legame solido con la tradizione, una tradizione che nemmeno il progresso più avanzato può appiattire(questo è dovuto anche ad un'arretratezza economica). Ho idealizzato tutto ciò come una cosa fenomenale, credendo di aver trovato finalmente "un pò di giusto".
Invece recandomi in quei luoghi sono rimasta affascinata, ma anche tanto delusa...
Delusa, mio caro Andrea, perchè è verissimo che lì, alla Cassazione, non verrebbe mai in mente di cambiare una tradizione plurisecolare come quella del "cognomen", ma è altrettanto vero che manca un valore di fondo che, a mio parere, è il succo della vita: la libertà.
Dunque, mi ritrovo a vivere un enorme paradosso che spesso mi spiazza, e mi domando:
-E' giusto avere una totale ed "anarchica" libertà,rischiando di schiacciare tanti valori, come quelli di tradizione e semplicità?
Oppure è più giusto limitare questa libertà, facendo si che molte cose restino vicine alla tradizione senza entrare nel triste tunnel della Hybris?
Davanti a questa problematica mi sento un pò persa...
Maria Devigili ha detto…
No, non è una conseguenza logica e non è nemmeno una legge storica ma è una tendenza essenziale dell'uomo che è un ibrido di natura e cultura, una sorta di adattamento stesso alla malattia.
Pensaci bene: cosa c'è di naturale in un cognome? In natura c'è forse bisogno di distinguere Tizio da Caio? Oggi c'è il test del dna e i camici bianchi hanno la natura in mano... e anche le coscienze probabilmente.
Aggiungiamo anche che, nelle grandi e medie città, le famiglie tendono a vivere separate le une dalle altre, il senso della comunità in senso tradizionale è molto esiguo e anche la funzione di riconoscimento del cognome viene a decadere.
Ti sembrerà paradossale ma secondo me oggi la società è più vicina alla "natura" di altre culture, più dei greci sicuramente in cui è il Cittadino quello che conta(sebbene debba essere individuo maschio,adulto e ateniese)e non tanto l'Ego come oggi. Attenzione però, non si tratta del cartesiano (e già evoluto) Io penso ma di quell'Io primitivo tipico della figura hegeliana della certezza sensibile, ossia l'Appetito (Begierde).
L'appetito è un animale che cerca costantemente il suo "cibo". In chiave umana, l'Ego è il pragmatismo in persona che cerca sempre l'utile e il tornaconto personale.
In quest'ottica, la cultura è solo uno strumento per soddisfare appetito e appetiti diversi.
Dunque alcuni elementi culturali decadono non appena sono diventati inutili.
Oggi tutto è utilitarismo, tutto è scandito dal ciclo produzione-consumo, da un processo biologico ingigantito e rafforzato dalla tecnica e soprattutto da quella bio-medica.
Se ci pensi l'etica più "naturale" al mondo è proprio l'utilitarsmo in tutte le sue forme, anche quelle più sofisticate.
Per questo i veri filosofi avversano e sempre avverseranno l'utilitarismo, perchè la filosofia è molto distante dalla natura, probabilmente più della religione.
Unknown ha detto…
Ad Annalisa (anonimo): ti ringrazio per il commento e la testimonianza sul mondo arabo. Secondo me tuttavia è importante capire cosa si indica per tradizione e per libertà. Perchè oggi la percezione è prioprio quella che giustamente descrivi, ovvero che la tradizione sia in qualche modo un insieme di vecchie regole e usanze che hanno ragione o meno di esistere per determinati motivi e che la libertà sia innanzitutto libertà da quella tradizione, da quel peso. Il problema non è tuttavia semplice e sul rapporto libertà/tradizione non ti senti spaesata solo tu ma penso chiunque si accinga ad affrontarlo. Visto che l'argomento che hai posto mi stimola molto magari ne parlo al prossimo post così possiamo approfondirlo con calma.

A Maria: Volevo innanzitutto precisare che non avevo certo intenzione di assimilare Natura-Cognome.
Entriamo ora nel merito: Non a caso in Hegel la certezza sensibile è proprio l'io-primitivo, "solo" l'inizio. Condivido ampliamente il tuo percorso, tuttavia mi sembra che tu faccia passare imprecisata sottobanco una premessa fondamentale: ovvero l'idea che per l'uomo la migliore cosa sia vivere secondo la Natura. Ho approfondito questo tema nel post successivo.
grazie marì
Maria Devigili ha detto…
Certo, la certezza sensibile è uno stadio iniziale e primitivo eppure è quello che governa il sistema dei consumi e dei falsi bisogni di oggi.
Anzi, un paio di anni fa scrissi un breve testo intitolato "Lettura del consumismo in chiave hegeliana". Per un periodo è stata online, magari pubblicherò qualche parte sul mio blog prossimamente!

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