Ora basta con l'aborto
di Giuliano Ferrara
E adesso che facciamo? La massima corte di giustizia europea ha stabilito che l’embrione umano, perfino prima di essere compiutamente un embrione fecondato, non può essere manipolato e brevettato da ricercatori e scienziati. E un feto di un certo numero di settimane? Quello sì, quello può essere abortito. Lo dice la nostra cultura giuridica. La situazione morale che ne deriva è incandescente, e pone problemi serissimi a tutti. Il ricercatore è in una situazione etica diversa da quella della donna che ospita un figlio indesiderato. Nel primo caso si tratta di metodologia scientifica, dei rischi di fare tutto quel che è possibile fare in provetta. Nel caso della donna si tratta di una scelta diretta di vita. Sarebbe giusto ormai riconoscere che si tratta di una scelta tra due vite: la sua libertà procreativa cosiddetta, e la vita umana fecondata e in crescita, nutrita e accudita dal suo corpo, destinata ad annientamento. Una sentenza stabilisce che nel primo caso c’è una dignità umana che sarebbe offesa da procedure di selezione e distruzione. Nel caso della donna mille sentenze tutelerebbero, ai sensi delle leggi abortiste, il diritto a fare quanto e più di quello che, in nome della dignità della vita umana, è precluso al ricercatore. Incandescente.
Confermiamo un nostro vecchio orientamento.
L’aborto è un omicidio, il massimo omicidio possibile perché preclusivo
di tutto il futuro della persona. Nello scontro fra assoluti etici che
questo comporta, non è possibile riparare a un peccato morale, tra i più
antichi e sofferti del mondo, con punizioni e ipotesi di reato penale a
carico delle donne che abortiscono e di chi collabora al fatto
abortivo. Ma questo dramma deve imporci una conseguente, ferma, severa,
responsabile politica antiabortista, a partire dalla guerra culturale
contro lo sterminio per selezione e annientamento dei non nati. Oltre un
miliardo in trent’anni. E la conta continua.
Era il tema della moratoria antiaborto
del 2008 e della lista presentata alle recenti elezioni politiche
italiane. Ridefinire la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
firmata a San Francisco nel 1948, all’articolo 3. Specificare bene che i
confini della vita umana oggi conosciuta, dopo le ricerche e la
mappazione del Dna, sono diversi da quelli conosciuti nel 1948. Far
discendere da questa ridefinizione le norme giuste per rendere
importanti e cogenti i controlli sulle motivazioni dell’aborto, prima
dell’operazione distruttiva da scongiurare ai limiti del possibile.
Investire soldi pubblici nella promozione sussidiaria e privata di ogni
tipo di assistenza antiaborto. Attrezzare cimiteri per i non nati, che
devono avere un nome, e finirla con la pratica della loro eliminazione
sotto la categoria dei “rifiuti ospedalieri speciali” cosiddetti.
Estendere la pratica delle adozioni, la moderna ruota dei conventi. E
molto altro. Insomma lottare contro la sordità morale nei confronti
dell’aborto e delle pratiche di selezione eugenetica che portano
occidente e oriente a fare della libertà della donna, della libertà di
nascere come frutto dell’amore, della libertà di esistere anche se non
si sia figli maschi, un infernale e nichilistico macello sociale.
© - FOGLIO QUOTIDIANO - http://www.ilfoglio.it/soloqui/10825
Commenti
Ad esempio bestemmiare è ben un peccato, ma, da quando la religione non è più centrale nell'ordinamento statale, non è perseguibile penalmente (entro certi limiti). Egualmente bisognerebbe pensare che un qualunque omicidio ha una valutazione etica, che può essere la deprecabilità a priori, e un lato giuridico, che è una questione soltanto di sedimentazione di norme del convivere.
Ora se il convivere (per maggioranza) decide per una certa soluzione e per certe soglie di reato (tot mesi) è puramente sulla base di valutazioni sociali (quanto costa alla società un bambino indesiderato?). Con che diritto i genitori decidono? Con quello che la società gli conferisce. A Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio: il problema etico sarà degli individui e del loro rapporto con lo spirituale. L'equivoco mi pare stia nel voler imporre una valutazione etica (e quindi necessariamente individuale) su un fatto legale e quindi di convivenza e contrattazione (e quindi aggiungerei un fatto necessariamente radicato nel nichilismo).
1) La tutela della vita individuale e della sua libertà non nasconde forse una secolarizzazione del principio di sacralità della vita caro al Cristianesimo?
2) E, ancora, a partire da quando il feto s'ha da dichiarare già vita, per cui individuo portatore di libertà? Il limite dei 3 mesi, o prima o poi, potrà mai essere valido oggettivamente? Oppure è tutto sul piano della materia? Vi è uno scatto tra il vegetativo e il vivente umano? E quando?
Ragiono con te e provo a depotenziare la critica che mi costruivo.
1) Mi pare che se vi è un guadagno di cultura non possiamo che situarlo nella nostra tradizione culturale, che, ovviamente, è imbevuta di cristianesimo. In realtà anche la "laicissima" dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino lo è. A tal proposito mi sentirei allora in buona fede, pensando che, tutto sommato, come accennavo nell'ipotesi, che la distinzione tra Cesare e Dio è salvaguardata dal fatto che comunque vada le "conquiste" laiche sono da situare all'interno di una tradizione, che in parte è cristiana; il valore trasparente della tradizione ci mette a riparo (?) dallo Stato confessionale se, tuttavia, siamo intenzionati - come fa Ferrara, credo - a restare sul piano della politica e delle leggi, che, finchè durerà la nostra Costituzione, è e resterà laico.
2) Qui ha da celebrarsi il reale dibattito perchè è una questione decisiva anche per altri temi affini - fecondazione assistita, prelevamento di cellule staminali, uso scientifico dell'embrione etc. Vi ragiona Tommaso d'Aquino, ma entreremmo davvero in un ambito di fede. Lascio spazio ad una tua risposta, poi magari torniamo su questo punto nevralgico.
Non è questa la strada...almeno non è quella che Ferrara propone. Personalmente, da credente, attribuisco alla vita un valore assoluto, non negoziabile, sacra , ossia un dono di Dio. Ma da credente so anche assumere in me la sofferenza, il degrado,la violenza materiale che si commette quando un essere umano sopprime un'altra vita...e non importa in quale momento del suo divenire..Non è solo con la legge, con la sanzione o con la cultura che si possa guarire questa piaga dell'umanità...Non è la legge dell'uomo a decidere se una vita debba continuare o debba essere interrotta...vi è un limite invalicabile, per l'uomo, quando tratta della vita...questo limite è rappresentato dalla vita stessa...perchè la vita è un dono di Dio...perchè è Dio stesso. Nostro Signore ci ha donato il libero arbistrio...e con questo ci ha innalzato al Suo livello...ci ha donato la vera libertà e non quella "laica" che professa Ferrara...che ha bisogno di leggi, di norme, di sanzioni ed imposizioni per affermarsi.
Una società giusta, ispirata dall'amore di Dio, non sanziona , non punisce, non norma...ma CREA le condizioni affinche l'uomo non pecchi più..o possa ravvedersi ed affrancarsi dal peccato. E' nella capacità degli uomini liberi , resi tali sin dal loro concepimento, che va riposta la speranza in un mondo migliore...in un mondo dove la violenza tutta verrà bandita non dalla legge ma dall'amore .
Ecco, Caro Andrea, ora hai anche il "pensiero" di un "miserabile credente" che potrai confrotare con la potenza e la protervia verbale di quanti pensano che solo con la norma e l'imposizione si possa riuscire a costruire una "cultura" che possa "liberare" l'uomo dalla "miseria" della sua condizione di peccatore.
Dal punto di vista del credente cristiano cattolico il tuo discorso non fa una grinza. Mi pare coerente e di grande cuore - senza dare per forza al termine "cuore" una sfumatura sentimentalistica. Nondimeno sono d'accordo con te quando ritieni che con la norma e l'imposizione non si riesca a costruire una "cultura"; esempio immediato: sono stato contrario all'intrusione del Parlamento, da una parte o dall'altra, nel caso Eluana Englaro. La questione del fine-vita non doveva essere messa in discussione con un voto dei partiti perchè, a prescindere dalle opinioni singole, è un qualcosa di ulteriore, che va trattato e curato con mezzi differenti. E' chiaro tuttavia che non tutte le religioni sono concordi su questi punti e potrà capitare che un mussulmano o un indista non accettino lo stesso "sentire" etico di un cristiano come te; e questo accade non perchè il sentimento religioso sia differente - tutt'altro, l'impresa di questo blog sarebbe proprio quella di sostenere che la "mistica" è la tensione più forte d'ogni altra cosa all'infinito che ci pervade e che, in quanto tale, è comune a tutti: non ha razza nè tradizione, ma è una quidditas, per così dire, trasparente. Dicevo: sulle questioni etiche non si ha a che fare con il sentimento del divino che è comune a tutti ma con i diversi modi in cui le tradizioni hanno pensato questo divino accompagnandolo da un certo atteggiamento etico. D'altronde questo problema nasce anche all'interno della medesima tradizione religiosa se presa da un punto di vista delle distanze temporali perchè il cristianesimo del XX secolo, ovvero quello del Concilio Vaticano II, ad esempio, non è lo stesso cristianesimo del XIX che legiferava in materia etica in un senso del tutto differente.
Non voglio ridurre la mia risposta al tuo intervento ad una semplice presa d'atto della pluralità delle religioni, ma, anzi, voglio rilanciarla integralmente cercando di cogliere appieno il tuo messaggio: non pensate - mi pare che tu ci dica questo - che il mistero della vita possa esser tenuto fermo da una legislazione, seppur limitata, che dovrebbe regolare il nostro convivere; no, in questo discorso deve prendere parte anche la religione". Mi pare che si potrebbe rilanciare la tua indicazione, tenendo presente quanto scrivevo prima e in questo post e poi quanto scriveva Alberto, cercando di spostare in pieno la questione dell'aborto su un piano interreligioso. E non mi pare poco. Ovvero, si potrebbe pensare che la strada della legislazione sull'aborto potrebbe essere quella di affidarsi non tanto ad un laico parlamento quanto ad un - passatemi la figura un po' banale - incontro tra i rappresentanti delle religioni (magari invitando anche i rappresentanti della religione dell'ateismo radicale alla Flores d'Arcais o alla Odifreddi). Mi pare un ottimo spunto.
Io ho una impostazione vagamente strutturalista, soprattutto se si parla di scelte "sociali" (come lo è inevitabilmente la legislazione pubblica), per cui non riuscirei a trovare una collocazione al concetto di libertà fuori dalla struttura che lo determina. In altre parole, a livello sociale, la libertà non inizia con la vita, col soffio dello spirito, ma solo quando viene "riconosciuta" (c'è tutto Hegel qui). Se ci pensi, fino ai 16-8 anni non c'è libertà (sociale) praticamente, come non c'è libertà totale nemmeno dopo. Il liberalismo d'altronde ha un senso in questa ottica strutturale, in cui una libertà è una responsabilità, e chi non è ancora in grado di prendersi responsabilità è privato della libertà. Perfino di rimanere in vita, suona male ma le conseguenze vanno prese fino in fondo (magari guardo più ad Hobbes che a Locke, è evidente).
Chiarito un po' questo punto, la distinzione insomma fra il problema individuale e quello sociale/strutturale, resta ovviamente un fatto invece "normativo" (nel senso in cui si usa la parola nelle scelte sociali, cioè in opposizione a "descrittivo", per identificare quando si passa al dare dei "giudizi di valore", al "cosa si dovrebbe fare"). Su questo valgono tutte le tue osservazioni sul valore di un fatto culturale, di tradizione, sul valore della vita come fatto spirituale e non solo materiale. E su questo poi concordo anche nella misura in cui diventa l'occasione per affermare un'etica del sacro proprio, affermare un momento in cui la libertà dell'uomo si spezza e dove inizia un mistero come è quello della vita che viene da Dio. Arriverei quindi quasi a dire che non è per ma piuttosto "contro" la libertà che si deve affermare qualcosa normativamente. Ovviamente intendo contro quella libertà tanto più sfrenata quanto più è legittimata (sempre Hegel) e che regge il sistema sociale. Solo un giudizio di valore affermato dal singolo può spezzare un sistema di valutazione che ha la sua legge in se stesso. Se lasciamo che le cose le decida la democrazia (e arriviamo al lungimirante Pasolini) è inevitabile che si affermi quella libertà mercificata che permette senza una piega anche di giustificare il togliere la vita se di un ente al quale la si è appena conferita.
Secondo me, in conclusione, è pericoloso mescolare le due dinamiche, non fosse altro che per un fatto di chiarezza. L'importanza individuale, normativa, etica, anche religiosa, del problema del valore inestimabile va innanzitutto distinta a fondo dalle logiche endogene che governano i sistemi sociali e che poggiano sulla necessità di poter "valutare" qualcosa come un dare-per-avere, legittimato proprio da questa relazione di interazione. Per affermare il fatto inestimabile bisogna imporlo sul baratto sociale, altrimenti va perso nel traffico di compravendita.
Ciao Costy io condivido appieno il tuo pensiero ma c'è gente che non può capire perchè è ferma agli anni 30, per loro le donne devono stare a casa a lavorare a maglia e a cucinare, quindi non rischiano lo stupro tanto per fare un esempio.
Qui al posto di andare avanti andiamo moooolto indietro ... io propongo la lapidazione per le donne che vogliano ricorrere all'aborto .. Andrea Marco mi appoggiate? ahahah