Fenomenologia della matricola in filosofia: tra crisi religiosa e volontà di potenza

Trascorsi alcuni anni dal primo giorno in Università, c'è un momento in cui si inizia a guardare all'esperienza passata e, forse, si cominciano a soppesare le scelte intraprese in maniera più o meno conscia e coerente. Al contempo si assiste ad un fenomeno strano: altre matricole appaiono all'orizzonte; altri animi in cerca di risposte filosofiche iniziano un cammino che probabilmente non hanno chiaro in testa neppure per la metà del percorso che li attenderà. E la stranezza di cui sopra - intendo dire, il fatto stesso che vi siano altri animi incuriositi da quella bella Signora descritta da Boezio - non dovrebbe invece stupire granché; difatti attiene tanto al normale ciclo delle generazioni, quanto al sistema stesso della scuola che assorbe e consegna, prende e lascia, assume e pensiona, il banale caso che altri studenti decidano di iscriversi ad un corso di laurea in filosofia. D'altronde questo accade per ogni altro campo del sapere: l'obiettivo dell'Università moderna è proprio quello di attirare di anno in anno il maggior numero di studenti e, al contempo, se possibile, offrire loro una qualità sempre maggiore nell'istruzione avanzata di ogni genere. Ma non è solo questo. Ripeto, è quella stranezza di cui sopra il punto chiave.

Chi ha intrapreso un percorso di questo genere sa a cosa sto accennando - e penso, ovviamente, alla maggior parte di coloro che si iscrivono, ovvero a quelli che ne hanno fatto una questione prioritaria e che riconoscono in se stessi un fuoco, una molla che li spinge e una determinazione inusuale. In altri termini, voglio sostenere c'è qualcosa di inspiegabile che traina il giovane "filosofo" nello studio e che, pertanto, egli pare non poter essere inquadrato come "uno studente tra gli altri"; egli non è, quindi, una semplice ruota del continuo infornare-sfornare che è tipico delle nostre scuole o università. E questo, torno a scrivere, mi viene confermato ancora una volta dall'esperienza diretta, seppur risicata. In quest'ultimo anno, infatti, ho avuto modo di consigliare alcuni ragazzi e ragazze indirizzati verso la nostra facoltà: vi restituisco un paio di impressioni. Anzitutto, propriamente nessuno di loro ha davvero sentito quel che avevo da dirgli. Sapevano già, punto. La mia piccola esperienza maturata in questi otto anni in Università italiane e straniere non gli interessava minimamente. E forse, dal loro punto di vista, non avevano poi così torto. Chi ha vissuto quei momenti sa quanto la decisione sia indipendente dall'ambiente circostante, dalle voci più o meno incoraggianti, perché ciò che conta è già in loro. Ma sarei ingiusto a presentarli come vanesi e astratti dal mondo; al contrario: è proprio in virtù del mondo che c'è quella forza interiore e quell'intima sicurezza di sé che li trascina verso le pagine di Platone e Nietzsche. Sono convinto sempre più che l'interesse per la filosofia nasca da una somma di due opposte componenti: una crisi religiosa da una parte e la volontà di potenza dall'altra.

Con il concetto di crisi religiosa non intendo però indicare l'emergere della chiara e netta domanda sul divino, la quale piuttosto condurrebbe subito verso i seminari teologici o semplicemente ai banchi di una Chiesa o in sagrestia; al contrario, vorrei così denotare quell'angoscia, come la esprimeva nel novecento la filosofia dell'esistenza o - meglio - quell'insecuritas latina che ti afferra ogni qualvolta si percepisce di aver perduto il contatto con un terreno solido: quando, in altri termini, vengono a cadere le sicurezze fondamentali sulle più banali esperienze della vita, a partire dal microcosmo del sé fino ai rapporti con gli altri. Questo spaesamento dinanzi alla scoperta che le cose del mondo "non stanno poi così come ce le raccontano" o come siamo abituati a vedere è l'altro lato della meraviglia aristotelica - ed è quel che vi è di più "tremendo" del Thaumazein. Ad esempio non è un caso se la lettura di alcuni autori come Nietzsche in un'età ancora poco matura apra spesso ad un'esperienza di questo tipo. Ed essa, se interpretata con le categorie della filosofia, non può che condurre il giovane filosofo proprio all'affrontare di petto l'angoscia del "non-avere" più certezze, del "non-sapere" più nulla e dell'essere pertanto desiderosi di migrare verso nuovi fondamenti dell'azione quotidiana o della conoscenza del vero. E tale discesa nell'abisso dell'insecuritas è proprio quanto di più religioso possa esperire l'umano; in altri termini, esso consiste nella medesima discesa al fondo dell'anima che il filosofo esperisce come propedeutica alla propria scelta di vita e al proprio percorso di studi. In una misura o nell'altra, mi pare che tale caduta nel nulla coinvolga un po' tutti i nuovi iniziati alla materia.

D'altra parte però cercavo di far riferimento anche ad una seconda componente, forse più oscura, che chiamavo volontà di potenza. Essa si comprende in particolare alla luce della crisi religiosa e consiste propriamente nell'acuto egocentrismo che caratterizza molti giovani filosofi in erba. Nulla di strabiliante: dinanzi all'improvviso nulla che ti attornia una volta che hai fatto esodo dalle tue convinzioni, qualcosa d'altro deve emergere a riempire quel vuoto improvviso. Altrimenti non vivi più. E in molti casi la strategia di "riempimento" è la facile assolutizzazione dell'ego - il che si percepisce tanto a livello superficiale come fastidiosa strafottenza nei rapporti umani, sia a livello più profondo, quando le proprie convinzioni diventano piano piano "dogmatismo della ragione" (parafrasando Kant). Questa volontà di potenza non è comunque malvagia, ma si configura come un meccanismo di difesa. Difatti l'individuo che tout à coup sprofondato nel nulla cerca di rattoppare la propria debolezza d'esistere tramite un percorso filosofico che in questo caso è incentrato tutto sul . Ma né l'una componente né l'altra si manifestano in qualcuno in maniera pura, bensì si riscontrano come frammisti, sempre in continua lotta l'uno con l'altro. Ed è proprio questo scontro interiore che accade tra le due tensioni fondamentali ciò che produce quel fuoco, quella passione, quella determinazione unica che si intravede negli occhi di chi cerca di dedicarsi appieno alla propria missione di filosofo, nella vita e nell'Università.

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