Le lettere d'amore

Questa sera propongo una lezione di realismo filosofico rivolta a tutti i platonici e i teologi. A loro, a noi, poiché quando si è immersi nell'Unità che tutto abbraccia, quando si è assorti nel seguire con gli occhi i movimenti dei cieli tolemaici sopra noi si perde, sovente, il senso della vita di quaggiù. E per chiunque abbia percorso queste esperienze mistiche o di studio comprende benissimo il senso di quel lungo scrutare, di quel lungo cercare, di quella caccia alla Sapienza che ti complica la decisione per qualsiasi cosa. Ma è qui che trova spazio il pezzo di Roberto Vecchioni, che ora propongo - e questa è, ovviamente, una lettura del tutto personale, causata piuttosto dalla mia propria individuale esperienza di vita, riflessione e studio e non ha di certo alcuna pretesa interpretativa di oggettività. Dicevo, si tratta di un confronto di Vecchioni con Fernando Pessoa, il poeta portoghese tutto impegnato nel costruirsi nuove identità e nuovi mondi, ma incapace di scrivere una lettera d'amore ad Ofelia. Fernando ha scritto per sé, ha seguito il proprio genio, ma alla fine della vita si rende conto che una sola cosa non è riuscito a scrivere: una lettera d'amore. E allora, nella sua banalità e semplicità, questa lettera diviene per lui l'unica cosa vera; l'unico momento di vita reale, concreta, amara e bruta che gli era stato concesso - ma egli era troppo impegnato a scrivere. Così questi splendidi versi di Vecchioni dedicati alla forza dell'amore e alla crudezza della realtà sarebbero, a mio umile modo di vedere, adatti anche ad altro. A me, ad esempio, parrebbe di leggervi lo spirito del cristianesimo, che ha saputo insegnare ai platonici - impegnati nelle speculazioni sulle intelligenze separate - la dignità della vita vissuta. Perché Dio si è fatto carne, ora e qui, per vivere l'incontro con altri. Il Vecchioni mi perdonerà la storpiatura del suo testo, ma questo è quel che accade quando alcuni versi li senti dentro, li percepisci come tuoi e poi ti fermi nuovamente ad ascoltarli dopo alcune ore di studio dedicate proprio a quel mondo "senza amore" che ha "stanchezza di esistere" perché non sa trovare il "senso" della propria esistenza. A volte basta una lettera d'amore a far cadere tutte quelle costruzioni; basta un incontro con l'altro; basta saper guardare negli occhi il tabacchino dalla faccia scavata e dalla barba poco curata che ti vende le sigarette. A volte basta capire che il senso dell'uomo è da trovare qui ed ora, nell'esperienza di vita umana che ci è concessa - appunto, come vita umana. D'altronde questo era proprio il contenuto della lettera d'amore che Dio ci scrisse due millenni fa e che alcuni di noi (me compreso) hanno ancora molta difficoltà a leggere, impegnati come sono a scrutare "quel brillare inutile, quel brillare lontano".



E costruì un delirante universo
senza amore,
dove tutte le cose
hanno stanchezza di esistere
e spalancato dolore.

Ma gli sfuggì che il senso delle stelle
non è quello di un uomo,
e si rivide nella pena
di quel brillare inutile,
di quel brillare lontano...

e capì tardi che dentro
quel negozio di tabaccheria
c'era più vita di quanta ce ne fosse
in tutta la sua filosofia*;
e che invece di continuare a tormentarsi
con un mondo assurdo
basterebbe toccare il corpo di una donna,
rispondere a uno sguardo.


* Il testo recita "poesia", ma mi sono permesso di cambiarlo.

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